Padre Bruno Marcon

PADRE MARCON BRUNO 1937 - 1999



Nato a Loreggia (PD) il 22.9.1937, da Emilio e Busolin Rosa, entra nell'Istituto nel 1952, nella casa di Alpignano. Frequenta le scuole medie e il liceo a Rosignano Monferrato; compie il noviziato alla Certosa di Pesio, consacrandosi al Signore il 02.10.1959. Continua il suo cammino formativo con gli studi teologici che compie a Torino, finché il 19.12.1964 viene ordinato sacerdote.
Per cinque anni svolge attività di animazione missionaria nella casa di Alpignano. Nel 1969 viene destinato al Roraima. Come egli stesso ha raccontato, la sua vocazione era nata tanti anni prima sopra un atlante di 5ª elementare durante una lezione di geografia: l'Amazzonia con le sue verdi foreste e i suoi fiumi maestosi, dal Rio delle Amazzoni al Rio Branco l'avevano fatto sognare facendo sbocciare in lui il desiderio di poter esplorare un giorno quelle terre come missionario. I sogni a volte, come in questo caso, diventano realtà e p. Bruno dopo un lungo viaggio in aereo, in battello e a dorso di cavallo, giunge nel cuore dell'Amazzonia dove si ferma per 14 anni dapprima nella missione di Taiano e poi come parroco nella chiesa della Consolata a Boa Vista. 
Nel 1984, gravato da problemi di salute, ritorna in Italia dove lavora per un anno come aiuto redattore presso la rivista Missioni Consolata a Torino. Quindi si dedica all'animazione missionaria nelle case di Boario, Bedizzole e Vittorio Veneto. Qui, il 24 dicembre 1999 raggiunge la Casa del Padre.


Padre Antonino Accoto racconta gli ultimi giorni di p. Bruno
Dal 4 al 12 dicembre aveva prestato servizio pastorale a Calalzo di Cadore (Belluno) dove aveva sostituito il parroco che si era recato in Brasile: servizio prestato, come era sua abitudine, con entusiasmo e gioia. Ma aveva sofferto un grande freddo a causa delle rigide giornate di quella settimana. Aveva ripreso, quindi, le sue occupazioni organizzando i servizi religiosi delle feste natalizie e il giorno 16 ha preparato una festicciola per p. Canzian e per due ex confratelli don Casagrande e don Guidolin per il loro 33° anniversario di ordinazione sacerdotale. 
Il giorno seguente ha accusato qualche colpo di tosse e un leggero dolore alla spalla. La dottoressa di famiglia lo visita e non diagnostica nulla di allarmante: riposo e non uscire al freddo. Ma le condizioni non mutano: tosse, dolore alla spalla, qualche linea di febbre. Il giorno 20 la dottoressa compie una visita più accurata e diagnostica una forma di bronco polmonite; consiglia il ricovero in ospedale, ma il padre rifiuta risolutamente, preoccupato solo di dover disdire alcuni servizi religiosi per i giorni pre-natalizi.
Il 22 le condizioni del padre sembrano aggravate: non segue il discorso con attenzione e talora sembra vaneggiare per cui si decide il ricovero in ospedale per il giorno seguente. Nella notte fr. Angelo Bruno lo visita: il confratello dorme tranquillo. Ma al mattino, alle 7 lo trova disteso sul pavimento. Viene ricoverato d'urgenza all'ospedale di Vittorio dove nel pomeriggio ci comunicano che è stato colpito da un ictus. La comunità e i parenti subito avvertiti sono costernati. Si provvede ad un'assistenza notturna e si decide con i parenti di trasferire il confratello, il giorno seguente, ad un ospedale più vicino al paese natale perché i parenti possano prestare un'assistenza più continua.
Diverso era il disegno del Signore. Verso le 6 del 24, al canto del gallo, p. Bruno ha concluso il suo pellegrinaggio terreno, spegnendosi serenamente, dolcemente, quasi con un lieve sorriso, lieto di aver speso la sua giornata al servizio dei più poveri.
Il giorno 26, festa della S. Famiglia, alle ore 10, la salma di p. Bruno è entrata nella cappella dei Missionari per l'ultima volta, quella cappella dove tante volte aveva parlato in favore dei suoi prediletti Indios del Roraima. Alla s. Messa, presieduta da p. Ernesto Viscardi, direttore regionale di animazione missionaria, hanno concelebrato i confratelli di Vittorio e rappresentanti delle comunità di Roma, Torino, Bevera, Bedizzole e Nervesa della Battaglia.
All'omelia, p. Viscardi prendendo lo spunto dal messaggio evangelico proprio del Natale - Gesù Salvatore dell'uomo, di ogni uomo e di tutto l'uomo - ha ricordato brevemente la figura e l'apostolato di p. Marcon. «Egli - ha detto - ha speso un quarto della sua vita a favore degli Indios. Ha lavorato con entusiasmo, con vera passione intelligente e paziente; ha costruito una chiesa e un ospedale per loro; li ha difesi contro ogni forma di ingiustizia e di emarginazione, meritandosi l'ammirazione ed un premio da Dom Camara, il vescovo dei poveri.
Rientrato in Italia - ha ancora detto p. Viscardi - ha continuato ad avere nel cuore i suoi Indios. Sapeva approfittare di ogni occasione per parlare dei loro usi e costumi, della loro cultura e dei loro bisogni. Il suo discorso semplice, ma convinto e caldo scuoteva l'indifferenza e suscitava interesse e aiuti crescenti sempre in vista della promozione ed elevazione sociale e dell'evangelizzazione di quel popolo dimenticato e oppresso». Il Signore e la Consolata avranno ricompensato, ne siamo certi, il generoso apostolato di p. Bruno.
P. Antonino Accoto


Narratore fecondo, p. Bruno Marcon ha raccontato in tre libri (Amazzonia: Bianco, dov'è tuo fratello indio?; Colombo non fu Cristoforo; Dossier Amazzonia) la sua esperienza missionaria tra gli Indios Wapixana e Macuxi che vivono sulle rive del Rio Uraricoera dell'Amazzonia. 
«In essi ci parla della lotta quotidiana degli indigeni per la sopravvivenza, contro i coloni che strappano le loro terre, il naturale sostentamento, e li costringono alla fuga all'interno oppure alla resa, cioè alla rinuncia della propria cultura e tradizioni per farsi sfruttare dal bianco divenendo schiavi del suo terrore e dei suoi peggiori vizi come l'alcoolismo e la prostituzione. 
Egli non si nasconde le responsabilità storiche della Chiesa verso queste popolazioni, la sua connivenza con certi colonizzatori venuti in passato a "cristianizzare" queste regioni con la violenza, ma ci parla della nuova realtà ecclesiale di oggi, dei vescovi dei poveri, dei tanti missionari impegnati totalmente a sostenere queste popolazioni. Ci racconta del suo lavoro missionario, dei suoi successi e insuccessi, la durezza dell'impatto iniziale con la missione, il dilemma circa la priorità dell'evangelizzazione o della promozione umana e la comprensione che Dio vuole salvare tutto l'uomo nella sua integrità e dignità. Di fronte a una miseria materiale enorme, p. Bruno riesce a percepire la ricchezza umana dell'indio, un patrimonio tradito e umiliato che ha, tuttavia, urgenza di esprimersi. Da qui i suoi sforzi materiali e spirituali diretti, oltre che ad aiutare, a promuovere e reintegrare in quei diseredati il rispetto verso se stessi, il recupero della loro identità umana.
Il suo racconto è soprattutto un atto d'amore per il fratello Uomo Indio, fratello in Cristo. Per l'indio povero in corpo e in spirito, malato e affamato, vilipeso e derubato».
Marcello Suatoni


Dalle sue lettere a parenti e amici

11 marzo 1969
Il mio primo viaggio, durato 15 giorni… è stato un viaggio duro proseguito a denti stretti dove ad ogni passo avvertivo repulsione all'idea di dover avvicinare di nuovo gente che vive ancora in capanne, in mezzo alla sporcizia e alla miseria. Ma ce l'ho fatta e sono contento. In luoghi così non si ha tempo di pensare a se stessi e si sta bene. Magari si guarisce dai complessi.

14 aprile 1969
La mia è stata una Pasqua da… venerdì santo. Che contraddizione! Ma è andata così. È stata una settimana in cui ho più patito la fame e la solitudine spirituale. l'ho passata al Taiano dentro la cappella senza porte né finestre. Tutti i giorni, al termine delle funzioni, chiedevo la carità di un po' di cibo. E qualcuno mi dava qualcosa… Solo, senza casa, senza cibo ma, proprio per questo, più vicino a Cristo.

30 giugno 1969
Sembra che l'Amazzonia ci respinga; però è con noi Dio. È difficile stare dove il sole dà i 40° quotidiani; è solo la fede che ci può far crescere, perché grazie ad essa siamo inseriti nel miracolo di Dio.

28 agosto 1969
Sono tornato da un lunghissimo viaggio missionario (oltre un mese sul fiume), sul Rio Branco col mal di gola e la malaria. Ora ti scrivo dal letto del nostro ospedale qui a Boa Vista dove le suore diventano buone sorelle, e assieme alle medicine danno anche tanto coraggio. In questi giorni ho molto riflettuto: è scontato che la Chiesa deve rischiare il tutto per tutto e mostrare il vero volto di Cristo. L'ostacolo più grande (l'ho capito in questo straordinario viaggio tra la gente dei fiumi) è che siamo troppo ricchi, troppo sicuri dei nostri dogmi e schemi culturali. Lui non è con noi, perché lui era povero materialmente e in Spirito: dipendeva dal Padre, faceva la volontà del Padre.
Noi avevamo la barca a motore e loro solo qualche canoa; e quando si ammalano aspettano tutto da Dio, perché hanno poco cibo e niente medicine e meno ancora soldi. Eppure ogni giorno, con più verità, dicono «Padre nostro dacci il pane quotidiano» o meglio «la manioca quotidiana». Dove sono i fratelli cristiani dell'occidente opulento, che sfruttano le materie prime di queste foreste - legname, minerali - comperandole sotto costo, per procurarsi una vita sempre più comoda?!

5 ottobre 1969
… Un giorno sono entrato in una casa lungo il fiume: ho visto una madre di sedici figli vestita di un sacco. Al posto dei piedi aveva dei moncherini eppure camminava e reggeva un bambino piccolissimo che stava allattando. Una scena che non dimenticherò mai. Ci siamo guardati in faccia e ho detto a p. Mario: «Non hai più neanche un vestito?» «Niente» - mi rispose. Avevamo ancora la veste talare, gliela abbiamo data.

6 gennaio 1970
La mia missione dopo un anno è a un punto morto per mancanza di mezzi. Ma ho costruito una chiesa di legno e paglia nella maloca della Barata! La prima cappella nel villaggio indio. Là ho passato il mio primo Natale in missione: un piatto di riso, un uovo fritto, un bicchiere d'acqua e tanta gioia nel cuore. Non mancava niente alla mia gioia. Fra tanta fatica e povertà, Gesù poteva parlare sommessamente, senza il fracasso del mondo che vuole distrazione.

2 settembre 1972
Raduno la comunità e constato che la maggior parte di queste persone non ha mangiato. Per questi poveretti, il cielo deve essere certamente un posto dove finalmente si potrà mangiare. Celebro la messa: sono tutti cristiani, magari soltanto perché qualcuno li ha battezzati. Nessuno dei ricchi fazendeiros è presente: loro non hanno tempo per queste cose. È un assenteismo che fa male, ma mi sento quasi meglio senza di loro. I poveri, sacramento della presenza di Cristo, sono qui davanti a me e ci comprendiamo molto bene. Il povero è libero, disponibile, aperto alla speranza di Cristo. Terminata la messa, vengono da me con i loro mille problemi, fiduciosi che il Padre possa avere per tutti una soluzione. Chiedono un vestito usato, una medicina, un po' di zucchero e sale o un barattolo di petrolio. Il fazendeiro ha tutte queste cose ma le vende a un prezzo impossibile. Io, purtroppo, non ho quasi niente.

10 novembre 1982
Attraverso l'evangelizzazione ho riscoperto i valori religiosi autentici del mondo indigeno. E qui ho proceduto verso il recupero morale e fisico: un percorso logico anche se non facile. Nel cammino ho accusato il logorio della salute, cioè il peso di lunghi anni di fatica e solitudine in clima equatoriale.
Le difficoltà materiali hanno spesso spento la volontà, l'anima e l'ansia di arrivare a risultati sempre più completi e concreti. Meritava proprio impegnarsi? Una pastorale indigena tra una minoranza appiattita e repressa di Indios, costituisce una sfida per la Chiesa e un modo autentico di iniziare davvero dagli ultimi.
… Ci si può domandare, non solo teoricamente, ma anche praticamente se davvero il problema Indios merita l'impiego di tante energie. E cosa rappresenta una minoranza etnica di fronte a tante altre urgenze del mondo. Certo, oggi ci troviamo di fronte alle ultime battute del dramma degli Indios, di una emarginazione irreversibile, praticamente già avvenuta. Ma come la mettiamo con la coscienza? Ti dirò invece che il vero senso è questo. Si può essere seminatori di speranza anche nelle situazioni più disperate attraverso una comune lettura della realtà vista alla luce della Parola del Signore. Una speranza da costruire e da portare avanti con costanza e pazienza… bibliche, cioè sui tempi lunghi di Dio. E ogni speranza vissuta ha il suo prezzo. La mia ha avuto quello di una salute ormai compromessa. Ma se vuoi saperlo, ne è valsa la pena.

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